Non è la più forte delle specie che sopravvive, nè la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti (Charles Darwin)

domenica 11 marzo 2012

L' ORIGINE DELLA VITA


L'umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l'uomo delle caverne fosse stato capace di ridere, la storia sarebbe stata diversa.

(Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1891)


La teoria sull’origine della vita che prevalse sino al XVIII secolo fu quella della generazione spontanea, secondo la quale Dio avesse creato l’uomo e gli altri organismi superiori, mentre gli anfibi, i vermi, gli insetti e in generale gli animali di più piccole dimensioni si sarebbero generati spontaneamente dal fango o da sostanze in decomposizione.
Questo convincimento ha origini molto lontane. Nella Cina antica, ad esempio, la gente pensava che dai bambù si generassero spontaneamente gli afidi, e documenti sacri dell'India testimoniano della nascita spontanea di mosche dal sudore e dalla sporcizia. Secondo i babilonesi, poi, il fango dei canali generava vermi. Per i filosofi greci la vita era insita nella materia stessa e da essa emergeva spontaneamente quando le condizioni si facevano favorevoli: essi credevano, ad esempio, che pesci e rane si generassero dal putrido fango del Nilo.

Aristotele raccolse le idee relative alla generazione spontanea formulate dai filosofi che vissero prima di lui e le sintetizzò in una teoria i cui effetti si sono fatti sentire fino a tempi molto recenti. Secondo il grande pensatore dell’antichità gli organismi viventi nascono, in genere, da altri organismi a loro simili, però a volte possono anche scaturire dalla materia inerte. Esisterebbe infatti, in tutte le cose, un «principio passivo» rappresentato dalla materia e un «principio attivo» rappresentato dalla forma. Questa sarebbe una specie di forza interna che guida e indirizza la materia stessa dandole appunto la forma. Il fango, ad esempio, è materia inerte, ma contiene un principio attivo che non è nulla di materiale, ma semplicemente una inclinazione, una predisposizione a organizzare la materia in qualcosa di vivo come potrebbe essere un verme o una rana. Dalle idee di Aristotele avrebbe preso spunto il racconto biblico della Genesi secondo il quale Dio in sei giorni creò il mondo dal caos primitivo: prima separando la terra dall’acqua e dal cielo quindi creando le erbe, i pesci, gli uccelli e il resto del bestiame e infine l’uomo, che foggiò dalla creta e gli infuse quindi il soffio della vita.
La teoria della generazione spontanea passò indenne attraverso il Medioevo e il Rinascimento e fu sostenuta da illustri pensatori come Newton, Cartesio e Bacone. Nel XVI secolo vi era ancora qualcuno disposto a credere che le oche nascessero da alcuni alberi che si trovavano a contatto con le acque dell'oceano o che gli agnelli si formassero all'interno di meloni, come andavano raccontando alcuni viaggiatori al ritorno da lunghi viaggi in Oriente.
Nel XVII secolo finì l'epoca delle leggende e iniziarono le prime sperimentazioni a sostegno della teoria della generazione spontanea. Il medico fiammingo Jean Baptiste Van Helmont, annunciò (seriamente) di avere condotto un esperimento mettendo a contatto chicchi di frumento e una camicia sporca, in seguito al quale sarebbero nati dei topi dopo 21 giorni. Secondo Van Helmont il sudore umano avrebbe rappresentato il principio attivo necessario per spingere la materia inerte a trasforma. E' evidente che quello di Van Helmont era un esperimento condotto male, tuttavia la strada giusta, quella della verifica sperimentale delle idee, era stata aperta. Nel 1668 il medico e poeta toscano Francesco Redi illustrò una serie di esperimenti i quali avrebbero dovuto dimostrare che la generazione spontanea non esiste. Egli mise della carne di vitello e del pesce in alcuni recipienti che sigillò ermeticamente, lasciandone aperti degli altri. Dopo un po' di tempo poté notare la presenza di vermi (in realtà si trattava di larve di insetti) sulle carni in putrefazione all'interno dei recipienti aperti nei quali entravano e uscivano liberamente mosche e altri insetti, mentre non vi era traccia di organismi viventi all'interno dei recipienti chiusi.
Più o meno nello stesso tempo in cui Redi compiva i suoi esperimenti un naturalista olandese, di nome Anton Van Leeuwenhoek (1632–1723), osservò, per la prima volta, la presenza di microrganismi attraverso un rudimentale microscopio da lui stesso costruito. Le osservazioni al microscopio ben presto si moltiplicarono e la presenza di un numero tanto abbondante di microrganismi all'interno di tutte le sostanze esaminate fece risorgere l'idea della generazione spontanea, che gli esperimenti di Redi sembravano avere allontanato.
Le osservazioni di Leeuwenhoek stimolarono nuove ricerche in quella direzione e la disputa fra teoria della biogenesi (la vita deriva dalla vita) e teoria della abiogenesi (la vita si origina da sostanze non viventi) si spostò dal mondo macroscopico dei vermi e delle mosche a quello microscopico dei protozoi e dei batteri.

Nel 1745 il naturalista inglese John Needham condusse una serie di esperimenti che dettero nuovo vigore alla tesi dell’abiogenesi. Egli scaldò vari liquidi nutritivi come il  brodo di pollo o gli infusi d'erbe coi quali riempì alcune provette che poi tappò con della garza. Ebbene, nonostante tutti gli accorgimenti adottati affinché non entrasse nulla nelle provette che contenevano le soluzioni nutritive rese sterili dal calore, dopo alcuni giorni si poteva notare che queste pullulavano di organismi viventi. I risultati dei suoi esperimenti lo convinsero che la generazione spontanea era effettivamente possibile.
 Gli stessi risultati non convinsero invece l'abate italiano Lazzaro Spallanzani il quale, alcuni anni più tardi, rifece gli stessi esperimenti di Needham ma riscaldando il liquido nutritivo molto più a lungo e a temperature molto più alte, fino a farlo bollire per alcuni minuti. Ebbene il risultato fu che anche dopo molti giorni i liquidi contenuti nelle provette, questa volta ermeticamente tappate, rimanevano limpidi e non mostravano la presenza di microrganismi al loro interno. Le critiche ora arrivarono dal ricercatore inglese il quale accusò lo Spallanzani di avere scaldato i liquidi nutritivi a temperature troppo elevate “torturando” inutilmente le sostanze presenti fino al punto di distruggere il principio attivo contenuto in esse; e di aver inoltre sigillato le provette al punto da impedire il passaggio dell'aria indispensabile per la vita. 
Una prima spiegazione del fenomeno fu fornita da L. Pasteur che riuscì a dimostrare che se un liquido di coltura è opportunamente sterilizzato non compare in essa alcuna forma vivente. Pasteur costruì personalmente dei contenitori di vetro con un lungo collo ricurvo (detti, per la loro forma, «palloni a collo di cigno»), all'interno dei quali veniva riposta la soluzione nutritiva che era fatta bollire per più di un'ora lasciando che il vapore uscisse liberamente dall'orifizio terminale del collo ricurvo. Spenta la fiamma, il liquido contenuto nel recipiente cominciava a raffreddarsi lentamente dopo aver richiamato dall'esterno, a causa della depressione conseguente al riscaldamento, aria contaminata da batteri e altri microrganismi. Questi, tuttavia, a contatto con il liquido ancora bollente che trovavano all’interno, venivano uccisi. Dopo alcuni mesi l'infuso si era conservato limpido a dimostrazione che non erano presenti germi di alcun genere, mentre sul tratto più esterno del collo si poteva notare la presenza di polveri e microrganismi evidentemente entrati dall'apertura terminale.
 
Rimaneva comunque il problema di come si sia originata la vita sulla Terra, anche se l’opinione più comune è che sia avvenuta una evoluzione chimica dei composti del carbonio e su questa si siano innescati i fenomeni evolutivi che hanno portato alla comparsa di forme viventi.
Con l'esperimento di Pasteur si chiuse per sempre la polemica fra i sostenitori dell'abiogenesi e quelli della biogenesi, a favore di questi ultimi, ma nello stesso tempo si aprì la porta a nuovi interrogativi. Innanzitutto ci si chiese: se per generare un essere vivente ci vuole un altro essere vivente, chi ha generato il primo essere vivente? In secondo luogo: se ogni individuo genera sempre individui simili a sé stesso, come si è formata l’enorme varietà di organismi che popola attualmente la Terra? E’ sempre esistita? Era presente fin dall'inizio?
A quest'ultima domanda, in termini scientifici, risponde il ritrovamento dei fossili che testimoniano di forme viventi del passato diverse da quelle del presente e la teoria evoluzionistica di Darwin la quale afferma che le nuove specie nascono da quelle già esistenti. Gli individui di una stessa popolazione, come è facile constatare, presentano caratteristiche leggermente diverse l’uno dall’altro, e quando l’ambiente si modifica per azione di forze che traggono origine dall’interno e dall’esterno della Terra e per l’attività degli stessi organismi viventi, quegli individui i cui caratteri consentono il migliore adattamento alle nuove condizioni di vita ottengono il massimo successo riproduttivo, mentre gli altri si estinguono prima di raggiungere la maturità sessuale. Quindi attraverso una selezione naturale delle forme più adatte, le generazioni successive si arricchiscono degli individui dotati dei caratteri più vantaggiosi.
 
La teoria di Darwin sottintende, in altre parole, che tutte le forme attualmente viventi possano aver tratto origine da pochi o forse addirittura da un unico progenitore comune. Secondo Darwin sarebbe stata quindi la selezione naturale a creare nuovi organismi, e lo avrebbe fatto per adeguare le forme viventi alle esigenze di un ambiente in continua trasformazione.
Per rispondere alla domanda relativa all'origine della vita gli scienziati hanno avanzato due diverse ipotesi. Secondo la prima di esse la vita sarebbe una componente fondamentale dell'Universo e sarebbe quindi sempre esistita così come sarebbe sempre esistito l’Universo. Questa idea, detta della «panspermia», fu avanzata per la prima volta dal chimico svedese Svante Arrhenius agli inizi di questo secolo e prevede che le forme viventi più semplici migrino, attraverso lo spazio, colonizzando continuamente nuovi pianeti. Secondo l'altra ipotesi la vita sarebbe comparsa direttamente qui sulla Terra in modo spontaneo, a partire dalla materia inerte dopo che la Terra, appena formata, ebbe perduto una quantità notevole del suo calore iniziale e fu possibile la formazione di una crosta stabile sopra la lava infuocata. Questa idea è detta, come quella più antica, della «generazione spontanea», ma rappresenterebbe, a differenza di quella antica, un fatto eccezionale, forse unico e irripetibile in tutto l'Universo.
Secondo Arrhenius la vita si sposterebbe quindi da un pianeta all'altro sotto forma di spore o germi che verrebbero sospinti dalla pressione di radiazione delle stelle fino ad incontrare un altro pianeta su cui planare e quindi evolvere verso forme di vita più complesse. I biologi, tuttavia, sanno bene che un viaggio nel mezzo interstellare, soprattutto se molto lungo, non è affatto privo di rischi: vi sono radiazioni di ogni tipo (raggi ultravioletti, raggi X, raggi gamma), temperature vicine allo zero assoluto, o viceversa temperature molto elevate in prossimità delle stelle, in grado di distruggere qualsiasi forma di vita, anche se sistemata all'interno di spessi involucri protettivi.
Per superare i rischi connessi al bombardamento di radiazioni cosmiche si è allora pensato che i semi della vita avrebbero potuto viaggiare all'interno delle meteoriti dove in effetti è stata riscontrata la presenza di qualche composto organico. In tal caso però le difficoltà sarebbero sopraggiunte al momento dell'ingresso nell'atmosfera, quando il riscaldamento per l'attrito e il successivo schianto al suolo avrebbero potuto provocare l'uccisione dei germi precedentemente protetti dalla crosta solida del veicolo. La polvere interplanetaria più fine avrebbe invece un impatto morbido con l'atmosfera e con il suolo e sembrerebbe quindi più adatta delle meteoriti al trasporto di germi di vita sui pianeti, ma in questo caso sarebbero le condizioni molto severe incontrate negli spazi cosmici a rendere estremamente pericoloso il viaggio.
 
Se non si accetta l'ipotesi che la vita possa essere arrivata sulla Terra provenendo dallo spazio è gioco forza ammettere la possibilità della generazione spontanea, con una differenza, tuttavia, rispetto al passato. Prima di Pasteur si pensava infatti che il processo generativo avvenisse velocemente e continuamente, mentre la moderna teoria sull'origine spontanea della vita sostiene che il processo sia avvenuto lentamente e una volta sola.
 Due sono le ipotesi sulla nuova generazione spontanea: quella autotrofa e quella eterotrofa. Secondo la prima di queste ipotesi il primo essere vivente sarebbe stato un autotrofo cioè un organismo simile alle attuali piante verdi, capace di sintetizzare sostanze organiche utilizzando sostanze inorganiche attraverso una complessa serie di reazioni chimiche, che prende il nome di «fotosintesi clorofilliana»; nella seconda ipotesi il primo essere vivente sarebbe stato un eterotrofo, cioè un organismo che non è in grado di fabbricarsi da solo gli alimenti, ma deve prenderli già belli e pronti da altri organismi viventi.
 L’ipotesi autotrofa nasce dall’osservazione che gli animali (eterotrofi) per vivere hanno bisogno delle piante (autotrofe), mentre le piante per vivere non hanno bisogno di nessuno. A questa ipotesi tuttavia vengono mosse alcune critiche ineccepibili dal punto di vista logico che rendono difficoltosa l’impostazione di un programma sperimentale effettivamente praticabile. Come è possibile, ci si chiede, che gli autotrofi, che sono organismi costituiti di sostanza organica ben organizzata, siano comparsi prima delle sostanze che essi stessi producono? Inoltre gli autotrofi, per certi aspetti, sono più complessi degli eterotrofi e quindi supporre che siano comparsi per primi contraddirebbe la teoria evoluzionistica, secondo cui le forme di vita più semplici precedono quelle più complesse, e non le seguono.
    Gli studiosi, ritenendo quindi molto improbabile la comparsa di organismi complessi in un ambiente fatto di forme molecolari semplici, si sono orientati verso l’altra ipotesi avviando ricerche volte a dimostrare la possibilità di una transizione spontanea dal semplice al complesso, cioè dal mondo inorganico delle piccole molecole a quello organico delle grandi molecole e poi ancora oltre fino alle strutture finemente coordinate presenti negli esseri viventi. Le prime idee al riguardo furono avanzate, alla fine degli anni Venti, dal biologo anglo-indiano John Burdon Sanderson Haldane (1892-1964). Egli partì dall'osservazione che la Terra primitiva doveva avere caratteristiche molto diverse da quelle attuali. In essa, tanto per cominciare, non c'era la vita, mentre in quella attuale la vita c'è. Se oggi si formasse spontaneamente del materiale organico - egli faceva notare - questo verrebbe immediatamente fagocitato da qualche organismo vivente, mentre sulla Terra primitiva, senza la presenza di organismi viventi, la materia organica che fosse comparsa spontaneamente non sarebbe stata decomposta dai batteri o da altri microrganismi e quindi non solo avrebbe potuto persistere, ma, lasciata tranquilla, avrebbe avuto tutto il tempo per svilupparsi ed eventualmente accrescere la sua complessità.
Le stesse idee di Haldane erano state avanzate, in precedenza, da un ricercatore sovietico di nome Aleksandr Ivanovic Oparin il quale le pubblicò nel 1924 in un libretto che venne però tradotto in inglese solo nel 1937. Oparin e Haldane erano entrambi di formazione atea e quindi, lontani da condizionamenti e pregiudizi di carattere religioso, hanno affrontato il problema relativo all'origine della vita da un punto di vista prettamente materialistico. Vi era un'unica differenza sostanziale fra l'ipotesi di Haldane e quella di Oparin e riguardava l'atmosfera primitiva che secondo lo scienziato russo doveva essere ricca di idrogeno mentre, per quello inglese, era ricca di anidride carbonica. E proprio da questo dato si partirà per avere conferma sperimentale delle nuove idee.
Le idee di Haldane e Oparin non vennero accettate di buon grado dai credenti i quali tentarono di dimostrare che la vita non poteva essere nata attraverso l'incontro fortuito di atomi, e per tale motivo non poteva che essere il frutto di un intervento divino. Ad esempio le proteine - essi dicevano - sono molecole molto complesse e pretendere che si possano formare attraverso l'incontro casuale degli atomi che le costituiscono è privo di logica. In effetti è estremamente improbabile che i composti fondamentali della materia vivente siano il risultato dello scontro casuale di atomi di idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto, per citare solo quelli fondamentali. La cosa diventa poi assurda se si considera che le prime molecole complesse avrebbero avuto a disposizione meno di un miliardo di anni per organizzarsi a partire dagli elementi semplici, e un miliardo di anni rappresenta un tempo molto limitato per questo genere di operazione. Questo tipo di ragionamento però è sbagliato perché immagina che gli atomi debbano unirsi fra loro in modo del tutto casuale mentre è dimostrato che le combinazioni possibili dei costituenti più semplici della materia non sono infinite ma limitate, e guidate da leggi chimiche e fisiche restrittive. Tutti questi presupposti hanno avuto puntuale conferma in laboratorio. 
 
 L’ATMOSFERA PRIMORDIALE
 
Le condizioni ambientali presenti sulla Terra prima che comparissero gli esseri viventi dovevano essere, come abbiamo detto, molto diverse da quelle attuali e in particolare doveva essere diversa la composizione dell'atmosfera che avvolgeva il nostro pianeta. L’atmosfera primitiva era sicuramente priva di ossigeno, un gas molto reattivo che attualmente, a mano a mano che si consuma perché si combina con gli altri elementi, viene reintegrato dalle piante. Pertanto quando non esistevano ancora le piante, anche qualora l’ossigeno fosse stato presente in piccole tracce, proveniente, ad esempio, dalla scissione di molecole d’acqua a seguito di scariche elettriche, questo avrebbe immediatamente reagito con molti degli elementi esistenti, ossidandoli. Gli scienziati ritengono invece che l’atmosfera primitiva doveva essere ricca di idrogeno e dotata quindi di caratteristiche riducenti e non ossidanti.
Nel linguaggio della chimica i termini «ossidante» e «riducente» vogliono esprimere la capacità, da parte degli atomi, di attrarre a sé o allontanare da sé gli elettroni quando si legano ad altri atomi per formare composti. Questo fenomeno si realizza tutte le volte che gli atomi si combinano fra di loro e in particolar modo quando lo fanno con ossigeno e idrogeno, che sono due elementi molto diffusi in natura e che formano composti praticamente con tutti gli altri. Quando ad esempio un atomo qualsiasi si lega all’ossigeno per formare un composto questo atomo si ossida perché l’ossigeno attrae a sé i suoi elettroni. Se lo stesso atomo si lega invece all’idrogeno si riduce, perché in questo caso l’idrogeno sposta il suo elettrone su quell’atomo. Il carbonio, ad esempio, può legare a sé uno o due atomi di ossigeno: nel primo caso si forma un composto che si chiama ossido di carbonio (CO) e nel secondo caso si forma l’anidride carbonica (CO2) e si dice che il carbonio si trova nella forma più ossidata possibile. Lo stesso atomo di carbonio può legarsi anche all’idrogeno formando i cosiddetti idrocarburi (composti di solo idrogeno e carbonio) e se gli atomi di idrogeno che gli si legano attorno sono quattro, cioè il massimo consentito al singolo atomo, si dice che il carbonio si trova nella forma più ridotta possibile, corrispondente alla molecola di metano (CH4). Quando idrogeno e ossigeno si legano fra di loro si forma la molecola di acqua (H2O) nella quale le rispettive caratteristiche riducenti e ossidanti dei due elementi si annullano a vicenda formando un composto neutro dal punto di vista di queste proprietà.
Vediamo ora in che modo si è formata l’atmosfera sulla Terra primordiale. I geofisici hanno calcolato che il Sole e i pianeti che lo circondano si formarono all’incirca 5 miliardi di anni fa in seguito all’esplosione di una supernova, cioè di una stella molto grossa che, prima di disintegrarsi, aveva avuto modo di sintetizzare al suo interno molti elementi pesanti a partire da idrogeno e elio. In origine quindi la Terra era una sfera incandescente formata prevalentemente di idrogeno e elio, ma anche di elementi pesanti come carbonio, azoto, ossigeno, ferro e silicio che erano stati proiettati nello spazio dall’esplosione della supernova. Poi la Terra si raffreddò assumendo una conformazione abbastanza vicina all’attuale e i gas più leggeri in parte reagirono con gli elementi più pesanti e in parte si dispersero nello spazio. In particolare si allontanò quasi tutto l’elio, che è un gas leggero e niente affatto reattivo, mentre una parte dell’idrogeno, l’elemento più leggero di tutti, si combinò con altri elementi formando composti idrogenati semplici come il metano (CH4), l’ammoniaca (NH3), l’acido solfidrico (H2S) e l’acqua (H2O). Terminata la “scrematura cosmica” degli elementi più leggeri rimasero sul posto quelli più pesanti, che cominciarono a differenziarsi per azione della gravità in un «nucleo» centrale formato quasi esclusivamente di ferro e nichel, in un «mantello» sovrastante costituito di ossidi di elementi pesanti e in una «crosta» superficiale fatta di silicati di elementi leggeri come alluminio, potassio e sodio. Durante la formazione e il consolidamento della crosta si liberarono, attraverso le spaccature presenti in essa, molti gas e sostanze facilmente volatili provenienti dall’interno del pianeta che andarono a formare quella che viene considerata l’atmosfera primordiale della Terra.
Una prova indiretta della composizione di questa atmosfera primordiale è data dall’esame delle miscele gassose emesse ai nostri giorni dai vulcani e dalle solfatare, la cui composizione è molto prossima a quella ricavata per via teorica. Un’altra prova è stata fornita dalle sonde che hanno raggiunto i pianeti più esterni del sistema solare dove hanno riscontrato l’esistenza di un’atmosfera ricca di composti idrogenati. Alle stesse conclusioni si perviene infine con l’analisi delle meteoriti, nelle quali tutte le sostanze sono presenti in forma altamente ridotta.
Prove sicure sulla composizione dell’atmosfera primitiva non ce ne sono, ma di una cosa gli scienziati sono certi: in quell’atmosfera non esisteva ossigeno libero, O2, nemmeno in quantità modestissime. Ora, però, se in quei tempi lontani non c'era l'ossigeno, non doveva esserci nemmeno l'ozono (che è un composto formato da tre atomi di ossigeno, invece che da due) e quindi la luce ultravioletta del Sole, che attualmente è bloccata proprio dalla presenza di uno spesso strato di questo gas nell'alta atmosfera, poteva raggiungere la superficie della Terra in quantità molto superiore ad oggi e contribuire, con la sua energia, alla formazione dei composti chimici primitivi.     
La radiazione ultravioletta del Sole sarà stata sicuramente una fonte di energia importante per la sintesi dei composti organici, ma non l’unica, anche perché quel tipo di radiazione oltre che formarle, decompone molte molecole organiche. Le altre radiazioni elettromagnetiche provenienti dal Sole e in particolare la componente visibile di esse, non ebbero alcuna efficacia per le sintesi primordiali dei composti organici, mentre saranno determinanti nei successivi stadi dello sviluppo della vita. Molto importante, invece, per le sintesi organiche primordiali, fu l’energia derivante dalle scariche elettriche.  

L'ESPERIMENTO DI MILLER
 
Nel 1953 S.Miller sottopose una miscela di metano, ammoniaca, idrogeno e acqua all’azione di scariche elettriche. In queste condizioni ottenne una miscela di composti organici, compresi alcuni amminoacidi, i mattoncini di cui sono fatte le proteine.
Tale esperimento tendeva a ricreare le condizioni chimiche che probabilmente esistevano sulla Terra primitiva. L’acqua bollente rappresenta l’oceano primitivi e la scarica elettrica sostituisce i fulmini dell’atmosfera di quell’epoca.
Dopo una settimana di trattamento continuo venne analizzato il contenuto della boccia piena di acqua che nel frattempo aveva cambiato colore, divenendo rosso-arancio, e con sorpresa si scoprirono al suo interno, assieme a composti di ogni tipo, anche alcuni aminoacidi, cioè i precursori delle proteine le quali, come tutti sanno, sono i costituenti principali degli organismi viventi.
Miller non fu il primo chimico a sintetizzare gli aminoacidi che in realtà erano già stati ottenuti in laboratorio per altra via, ma fu il primo a dimostrare che da composti a struttura molto semplice, che si supponeva fossero presenti nell’atmosfera primitiva della Terra, si potevano ottenere molecole complesse particolari, cioè proprio quelle molecole che stanno alla base dei composti organici che caratterizzano gli esseri viventi. E tutto ciò senza fare ricorso ad artifizi particolari o a fonti di energia eccezionali.
All'esperimento di Miller ne seguirono altri dello stesso tipo con miscugli gassosi di partenza diversi, ma sempre contenenti gli elementi fondamentali degli organismi viventi e cioè carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno (O), azoto (N), zolfo (S) e fosforo (P) e anche le fonti di energia erano di vario tipo. Vennero utilizzati i raggi ultravioletti, raggi X, flussi di elettroni o semplicemente temperature elevate, grazie al cui impiego si ottennero svariati composti tipici degli organismi viventi come glucidi, lipidi, aminoacidi e perfino i nucleotidi, cioè i costituenti del DNA e dell'RNA. Mai si trovarono molecole diverse da quelle tipiche dell’attuale materia vivente.
Tutti questi esperimenti hanno dimostrato, in modo inequivocabile, che i precursori biologici degli organismi viventi si sarebbero potuti formare nell'atmosfera primitiva, qualora questa fosse stata un’atmosfera riducente, attraverso normali processi chimici di sintesi. Questi semplici composti organici in un secondo tempo sarebbero caduti al suolo trasportati dalle piogge e quindi convogliati in mare dove, in un momento successivo, avrebbero potuto eventualmente arricchirsi e integrarsi. Certo, produrre in provetta gli amminoacidi non significa creare un essere vivente: una cellula infatti è tanto più complessa rispetto ad un amminoacido quanto un uomo rispetto ad una cellula, tuttavia è indubbio che con gli esperimenti di Miller un notevole passo avanti verso la formazione abiotica (cioè per via chimica) dell’essere vivente era stato compiuto.
    I risultati degli esperimenti simili a quello di Miller messi a punto da scienziati di tutto il mondo hanno definitivamente dimostrato che sulla Terra primordiale, in una situazione completamente diversa da quella attuale, sotto l’azione di fonti di energia quali il calore, le scariche elettriche e le radiazioni ultraviolette, molecole inorganiche a struttura molto semplice ebbero l’opportunità di formare composti a struttura un po’ più complessa che noi chiamiamo organici perché fanno parte degli organismi viventi. Questi composti sarebbero poi caduti in mare dove si sarebbe formato quello che Oparin chiamava il «brodo prebiotico», ossia una specie di brodo caldo diluito. Qui alcune molecole organiche avrebbero potuto trovare riparo dalle radiazioni ultraviolette che tendono a decomporle, mentre altre avrebbero incontrato le condizioni migliori per unirsi e organizzarsi in strutture più complesse, i cosiddetti «polimeri». In altre parole, nel mare primitivo, sarebbe continuata l’evoluzione dei composti chimici.
 I composti più importanti, dal punto di vista biologico, sono le proteine e gli acidi nucleici: si tratta, in entrambi i casi, di polimeri di condensazione, cioè di strutture di grosse dimensioni che si formano per unione di piccole molecole con eliminazione di molecole d’acqua. E' poco probabile quindi che i grossi polimeri si possano essere formati nel mare primitivo dove è più logico attendersi il processo contrario, cioè l’idrolisi, che è la rottura dei legami interni a grosse molecole per inserimento fra gli atomi stessi di molecole di acqua.
Dobbiamo quindi immaginare ambienti diversi da quello acquoso entro i quali fare avvenire la sintesi delle proteine e degli acidi nucleici e questi potrebbero essere delle pozze dalle quali l'acqua avrebbe potuto facilmente evaporare fino a consentire alle sostanze organiche di depositarsi sul fondo asciutto e caldo.
     E' stato proposto un altro meccanismo per ottenere la sintesi delle piccole molecole organiche. Si sa che le reazioni chimiche avvengono per collisione fra molecole e l’energia necessaria per produrre una collisione sufficientemente violenta per avviare la reazione, si chiama «energia di attivazione». Il calore è un mezzo per fornire energia di attivazione perché mette in agitazione le molecole consentendo loro di scontrarsi con forza tale da provocare la rottura degli edifici molecolari e la successiva ricomposizione sotto altra forma.
 
Tuttavia le molecole organiche, quando reagiscono, non lo fanno sbriciolandosi completamente e quindi ricostruendo le nuove strutture a partire dai singoli atomi ma avvicinando alcune parti più reattive, chiamate «gruppi funzionali», dove si forma il legame; il resto della molecola peraltro rimane intatto. Un eccesso di calore potrebbe allora danneggiare gravemente le molecole complesse facendo loro perdere individualità e specialità, e compromettendo irrimediabilmente la reazione di condensazione. Vi sono però alcune sostanze, chiamate catalizzatori, che con la loro presenza facilitano l’urto fra le molecole nel punto giusto evitando di alzare troppo la temperatura. Ebbene, esistono in natura alcuni metalli e minerali che agganciano piccole molecole alla loro superficie, creando le condizioni adatte alla formazione dei polimeri. Il fenomeno si chiama adsorbimento (da non confondere con assorbimento).
Di recente, alcuni scienziati del centro ricerche di forme di vita extraterrestre della NASA, l’ente spaziale americano, hanno dimostrato che l’argilla contenente nichel possiede la proprietà di attirare, come fosse una calamita, i 20 amminoacidi normalmente presenti nelle proteine biologiche catalizzandone la sintesi in una lunga catena polipeptidica.
Possiamo quindi immaginare, sul fondo di mari e laghi primordiali, fittissimi depositi di sabbie e argille (presenti, del resto, anche in quelli attuali) capaci di adsorbire ossia di legare a sé piccole molecole organiche fungendo da catalizzatori. Attaccate debolmente ma ordinatamente, e allineate come fossero birilli, ne verrebbero facilitati gli urti che diverrebbero più numerosi ed efficaci rispetto a quelli che potrebbero verificarsi fra le molecole disperse nel mezzo acquoso.

LA FORMAZIONE DEI COACERVATI
 
Le sostanze organiche complesse che si accumulano sul suolo e nei mari della Terra primitiva sembrano possedere proprietà che prefigurano quelle della vita e tuttavia siamo ancora ben lontani da ciò che potrebbe essere definito un organismo vivente. La vita attualmente non ci appare dispersa nell’ambiente, ma racchiusa all’interno di un involucro (la membrana cellulare) che la separa dal mondo esterno. Inoltre essa è rappresentata da un insieme di reazioni chimiche coordinate e sincronizzate mentre quelle che si svolgevano nel brodo primitivo erano reazioni disordinate e casuali.
 Oparin, sulla base di queste considerazioni, ipotizzò la formazione, nei caldi mari primitivi, di aggregati di molecole organiche in goccioline simili, nell’aspetto, alle attuali cellule. Queste piccole gocce o sacche di composti organici avvolti da molecole d’acqua, sono chiamate «coacervati» (dal latino cum acervo = ammucchio insieme) ed erano conosciute già molto tempo prima che Oparin le proponesse come possibili precursori delle cellule.
Si era sperimentato che mescolando in acqua determinate proteine dotate di elevata affinità per l’acqua, in opportune condizioni di temperatura e acidità, si venivano a formare migliaia di goccioline al cui interno le molecole più grandi apparivano unite le une alle altre, mentre, nel resto della soluzione, le stesse molecole risultavano quasi assenti. Il fenomeno si spiega ammettendo l’esistenza di cariche elettriche di segno opposto sulle molecole proteiche le quali avrebbero l’effetto di consentire la loro reciproca attrazione e, nello stesso tempo, il richiamo sulla superficie esterna di molecole polari di acqua che formerebbero una specie di pellicola intorno al coacervato isolando, al suo interno, una piccola quantità della soluzione di partenza.
In realtà l’idea dei coacervati quali precursori degli organismi viventi non fu accettata a cuor leggero, anche perché questi aggregati di molecole organiche si formano solo se si fa uso di soluzioni di polimeri biologici convenientemente selezionati e nulla autorizza a ritenere che i polimeri dispersi nel brodo primordiale si sarebbero comportati allo stesso modo. La creazione spontanea di un involucro in grado di contenere molecole organiche complesse avrebbe rappresentato tuttavia un passaggio fondamentale dall'evoluzione chimica a quella biologica.  
Si sarebbe così giunti alla concentrazione di macromolecole nella massa fluida portando alla comparsa dell’individualità.


 
Gradualmente ciascuna microsfera o micella avrebbe avuto a disposizione un proprio ambiente interno in cui sarebbero avvenute le principali reazioni chimiche attraverso l’assorbimento di materiale organico della soluzione acquosa esterna, regolato da una membrana rudimentale, portando all’inizio di un metabolismo rudimentale. Esse si sarebbero orientate verso una graduale organizzazione in semplici sistemi aperti, capaci di scambiare energia e materia mediante fenomeni di osmosi e diffusione attraverso la membrana, selezionando molecole come l’acqua, glucosio, amminoacidi, portando ai primi processi chimici di tipo eterotrofo. La presenza, nell’ambiente interno della micella, di acqua e glucosio e ATP sarebbe stato il punto di partenza per l’instaurarsi del primo processo degradativo capace di produrre energia come la fermentazione.
Lo sviluppo progressivo degli organismi eterotrofi anaerobi, portò al consumo delle molecole organiche disponibili nel mezzo, utilizzata come fonte di carbonio e di energia. La diminuzione delle sostanze nutritive favorì l’evolversi di quelle cellule che erano in grado di sfruttare come fonte di carbonio la CO2.
La CO2 viene utilizzata per sintetizzare composti organici nelle piante, dagli organismi autotrofi, utilizzando come fonte energetica il sole, la cui radiazione viene trasformata in energia chimica. Questo processo ha portato alla nascita dei primi organismi autotrofi, senza però la produzione di ossigeno.
La capacità di alcuni organismi di fissare l’azoto atmosferico si sarebbe sviluppata in seguito alla mancanza di nutrienti nell’ambiente. 

Gli organismi fotosintetici sono diventati, in seguito, capaci di ossidare l’acqua e in questo modo è cominciata una notevole produzione di ossigeno che ha modificato profondamente la composizione chimica dell’atmosfera.
Lo strato di O2 così formato assorbiva le radiazioni ultraviolette del sole venendo in piccola parte trasformati in O3, cioè Ozono. La formazione dell’ozono permise agli organismi di uscire dall’acqua e colonizzare le terre emerse.
Un altro momento evolutivo molto importante è rappresentato dalla comparsa delle cellule eucariotiche.
I procarioti unicellulari hanno prosperato nell’ambiente primordiale, ricco di sostanza nutrienti, per circa 2 miliardi di anni, senza quasi mai cambiare la loro struttura, in quanto l’unica fonte di variabilità erano le mutazioni.
Racchiusi nella loro membrana i procarioti filtravano il liquido in cui erano immersi ricavando le sostanze nutritive. Alcuni di loro cominciarono ad utilizzare l’ossigeno presente nell’atmosfera, come fonte di energia.

TEORIA ENDOSIMBIOTICA
Teoria Endosimbiotica
 
Si crearono diversi processi simbiotici fra diversi tipi di cellule, probabilmente i precursori dei mitocondri e dei cloroplasti: in questo modo venne modificata la struttura della cellula procariotica assumendo caratteristiche e funzioni che saranno proprie degli eucarioti. Infatti i processi fermentativi che una cellula procariote anaerobia, anche di grandi dimensioni, era in grado di attuare, non erano sufficienti a procurare la grande quantità di energia che serviva. Quindi l’incorporazione di piccoli organismi autotrofi in grado di compiere la fotosintesi oppure l’incorporazione di piccoli organismi in grado di respirare, rappresentò una soluzione di grande valore adattativo. Questi organismi, detti endosimbionti, potrebbero essere i primitivi cloroplasti e mitocondri: successive mutazioni a carico di queste nuove cellule, ormai eucariotiche, portarono ad una maggiore complessità della cellula , fino ad arrivare all’attuale modello di cellula eucariotica conosciuta.
In seguito, circa 1 miliardo e mezzo di anni fa si ebbe la comparsa della sessualità, facendo aumentare notevolmente il ritmo evolutivo, permettendo il rimescolamento dei caratteri e l’aumento della variabilità che è alla base di tutti i processi evolutivi.
Concludendo, gli eventi fondamentali della comparsa della vita sulla Terra sarebbero avvenuti per evoluzione chimica prima e quella tipicamente biologica dopo. Questo processo si sarebbe svolto nei tempi intercorsi dall’origine della Terra, circa 5 miliardi di anni fa, alla comparsa delle prime forme fossili riconoscibili di circa 600 milioni di anni fa.

FONTI:
L'ORIGINE DELLA VITA

PER APPROFONDIRE:

Oceani o terraferma? Riparte il dibattito sull'origine della vita

Una "macchina del tempo" molecolare per capire l'evoluzione biologica
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3 commenti:

Tristano ha detto...

Bravissima Lio! Questo è davvero un post con i fiocchi! Complimenti! ♥

DARK_LIONESS ha detto...

grazie trisatno....mo lo sto leggendo il tuo messaggio o.o... kiss

DARK_LIONESS ha detto...

ehmmm tristano ops....

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