agendo sulla mente umana, ha vinto l'insicurezza
dell'uomo di fronte a se stesso e alla natura.
Einstein
(Post scritto per suggerimento di Joanna Pelikan Ottomano)
Lo scopo dell’omeostasi dei glucidi è quello di fornire al cervello, in condizioni di mancato apporto alimentare, la quantità di glucosio sufficiente per il suo funzionamento. Il tessuto nervoso, infatti, per funzionare correttamente, è strettamente dipendente dal glucosio.
L’omeostasi dei glucidi serve inoltre ad immagazzinare, in alcuni organi del nostro corpo, l’eccesso di sostanze energetiche, come il glucosio, introdotte con gli alimenti, impedendo l’aumento della glicemia, cioè la concentrazione del glucosio nel sangue.
Dopo una notte di digiuno, il glucosio presente nel sangue è utilizzato per la maggior parte dal cervello, in minor misura dai globuli rossi, dall'intestino e dai tessuti sensibili all'insulina (muscolo e tessuto adiposo), che è l'ormone che permette a questi stessi tessuti di usufruire del glucosio e di immagazzinarlo al loro interno. Il fegato è in grado di immagazzinare glucosio sotto forma di glicogeno , formato da molte molecole di glucosio unite tra di loro, e di liberarlo sotto forma di glucosio. Il pancreas svolge un ruolo fondamentale nell'omeostasi degli zuccheri. La produzione di glucosio da parte del fegato, infatti, è regolata da due ormoni, l'insulina ed il glucagone. In carenza di insulina si verifica una liberazione di glucosio dal fegato nel sangue, che comporta aumento della glicemia (iperglicemia) nel sangue stesso. In carenza di glucagone si blocca la dismissione epatica di glucosio con conseguente riduzione dello stesso nel sangue (ipoglicemia). L'utilizzazione del glucosio da parte di altri organi, chiamata periferica, inoltre, si riflette anch'essa in una riduzione della glicemia; ne consegue una riduzione dell'insulinemia (quantità di insulina in circolo), un aumento della glucagonemia (quantità di glucagone in circolo) ed un riaggiustamento del sistema attraverso un'aumentata dismissione epatica di glucosio.
Oltre al sistema insulina-glucagone, esiste il sistema cosiddetto controregolatore o controinsulare, rappresentato dalle ghiandole ipofisi e surrene che agisce in equilibrio con il sistema insulino-glucagone. Attraverso la secrezione di ormoni come GH, ACTH, cortisolo e catecolamine (adrenalina e noradrenalina), questo sistema esercita un effetto iperglicemizzante, cioè aumenta la liberazione di glucosio in circolo.
In seguito ad un pasto, il glucosio assorbito dal tratto intestinale provoca un aumento della glicemia. I carboidrati, cioè polisaccaridi formati da diversi tipi di zuccheri messi insieme, una volta giunti nell'intestino, vengono ridotti a monosaccaridi, glucosio, fruttosio, galattosio. Essi vengono poi assorbiti dalle cellule della mucosa intestinale e, da qui, sono trasportati al sangue. In genere, dopo un pasto misto, la glicemia torna ai livelli preprandiali (quelli prima del pranzo) dopo circa 2-3 ore.
Il passaggio e l'assorbimento energetico degli zuccheri (ma anche di proteine e grassi) attraverso il tratto alimentare, innescano una serie di segnali che permettono l'immagazzinamento delle sostanze nutrienti in vari organi. Contemporaneamente viene stimolata la secrezione di insulina, il principale ormone regolatore della glicemia. L'aumento dei livelli plasmatici di questo ormone determina una diminuzione dei livelli di glucagone, il suo antagonista, e provoca una diminuzione della dismissione epatica di glucosio perché va ad inibire la scissione di glicogeno in glucosio (glicogenolisi) e della sintesi di nuovo glucosio dagli amminoacidi (gluconeogenesi). Il fegato, che è liberamente permeabile al glucosio, sequestra circa il 50% di glucosio per convertirlo a glicogeno (azione controllata dall'insulina). Il glucosio non sequestrato dal fegato viene distribuito nel muscolo e nel tessuto adiposo. Quando la glicemia tende a scendere, si verifica un graduale aumento della produzione epatica di glucosio, contemporaneamente alla diminuzione dei livelli plasmatici di insulina e ad un aumento degli ormoni controinsulari, in particolare del glucagone.
IL DIABETE
Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno.
Diabete tipo 1
Questo tipo di diabete insorge nell’infanzia o nell’adolescenza. Il pancreas non produce insulina a causa della distruzione delle cellule ß che producono questo ormone: è quindi necessario che essa venga iniettata ogni giorno e per tutta la vita. La velocità di distruzione delle ß-cellule è, comunque, piuttosto variabile, per cui l’insorgenza della malattia può avvenire rapidamente in alcune persone, solitamente nei bambini e negli adolescenti, e più lentamente negli adulti (in questi rari casi si parla di una forma particolare, detta LADA: Late Autommune Diabetes in Adults).
La causa del diabete tipo 1 è sconosciuta, ma caratteristica è la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono insulina. Questo danno, che il sistema immunitario induce nei confronti delle cellule che producono insulina, potrebbe essere legato a fattori ambientali (tra i quali, sono stati chiamati in causa fattori dietetici) oppure a fattori genetici, individuati in una generica predisposizione a reagire contro fenomeni esterni, tra cui virus e batteri. Quest’ultima ipotesi si basa su studi condotti nei gemelli monozigoti (identici) che hanno permesso di dimostrare che il rischio che entrambi sviluppino diabete tipo 1 è del 30-40%, mentre scende al 5-10% nei fratelli non gemelli e del 2-5% nei figli. Si potrebbe, quindi, trasmettere una “predisposizione alla malattia” attraverso la trasmissione di geni che interessano la risposta immunitaria e che, in corso di una banale risposta del sistema immunitario a comuni agenti infettivi, causano una reazione anche verso le ß cellule del pancreas, con la produzione di anticorpi diretti contro di esse (auto-anticorpi). Questa alterata risposta immunitaria causa una progressiva distruzione delle cellule ß, per cui l'insulina non può più essere prodotta e si scatena così la malattia diabetica.
Per questo motivo, il diabete di tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, cioè dovute a una reazione immunitaria diretta contro l’organismo stesso. Tra i possibili agenti scatenanti la risposta immunitaria, sono stati proposti i virus della parotite (i cosiddetti "orecchioni"), il citomegalovirus, i virus Coxackie B, i virus dell'encefalomiocardite. Sono poi in studio, come detto, anche altri possibili agenti non infettivi, tra cui sostanze presenti nel latte.Diabete tipo 2
È la forma più comune di diabete e rappresenta circa il 90% dei casi di questa malattia. La causa è ancora ignota, anche se è certo che il pancreas è in grado di produrre insulina, ma le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla. In genere, la malattia si manifesta dopo i 30-40 anni e numerosi fattori di rischio sono stati riconosciuti associarsi alla sua insorgenza. Tra questi:
- la familiarità per diabete,
- lo scarso esercizio fisico,
- il sovrappeso
- l’appartenenza ad alcune etnie
Riguardo la familiarità, circa il 40% dei diabetici di tipo 2 ha parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia, mentre nei gemelli monozigoti la concordanza della malattia si avvicina al 100%, suggerendo una forte componente ereditaria per questo tipo di diabete.
Anche per il diabete tipo 2 esistono forme rare, dette MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young), in cui il diabete di tipo 2 ha un esordio giovanile e sono stati identificati rari difetti genetici a livello dei meccanismi intracellulari di azione dell’insulina. Il diabete tipo 2 in genere non viene diagnosticato per molti anni in quanto l’iperglicemia si sviluppa gradualmente e inizialmente non è di grado severo al punto da dare i classici sintomi del diabete. Solitamente la diagnosi avviene casualmente o in concomitanza con una situazione di stress fisico, quale infezioni o interventi chirurgici.
Il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età, con la presenza di obesità e con la mancanza di attività fisica: questa osservazione consente di prevedere strategie di prevenzione “primaria”, cioè interventi in grado di prevenire l’insorgenza della malattia e che hanno il loro cardine nell’applicazione di uno stile di vita adeguato, che comprenda gli aspetti nutrizionali e l’esercizio fisico.
Diabete gestazionale
Si definisce diabete gestazionale ogni situazione in cui si misura un elevato livello di glucosio circolante per la prima volta in gravidanza. Questa condizione si verifica nel 4% circa delle gravidanze. La definizione prescinde dal tipo di trattamento utilizzato, sia che sia solo dietetico o che sia necessaria l’insulina e implica una maggiore frequenza di controlli per la gravida e per il feto.
Segni e sintomi
La sintomatologia di insorgenza della malattia dipende dal tipo di diabete. Nel caso del diabete tipo 1 di solito si assiste a un esordio acuto, spesso in relazione a un episodio febbrile, con sete (polidipsia), aumentata quantità di urine (poliuria), sensazione si stanchezza (astenia), perdita di peso, pelle secca, aumentata frequenza di infezioni.
Nel diabete tipo 2, invece, la sintomatologia è più sfumata e solitamente non consente una diagnosi rapida, per cui spesso la glicemia è elevata ma senza i segni clinici del diabete tipo 1.
Diagnosi
I criteri per la diagnosi di diabete sono:
- sintomi di diabete (poliuria, polidipsia, perdita di peso inspiegabile) associati a un valore di glicemia casuale, cioè indipendentemente dal momento della giornata, ≥ 200 mg/dl
- glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl. Il digiuno è definito come mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore.
- glicemia ≥ 200 mg/dl durante una curva da carico (OGTT). Il test dovrebbe essere effettuato somministrando 75 g di glucosio.
Esistono, inoltre, situazioni cliniche in cui la glicemia non supera i livelli stabiliti per la definizione di diabete, ma che comunque non costituiscono una condizione di normalità. In questi casi si parla di Alterata Glicemia a Digiuno (IFG) quando i valori di glicemia a digiuno sono compresi tra 100 e 125 mg/dl e di Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT) quando la glicemia due ore dopo il carico di glucosio è compresa tra 140 e 200 mg/dl. Si tratta di situazioni cosiddette di “pre-diabete”, che indicano un elevato rischio di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di malattia. Spesso sono associati a sovrappeso, dislipidemia e/o ipertensione e si accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari.
Complicanze del diabete
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla carenza pressoché totale di insulina. In questi casi il paziente può andare incontro a coma chetoacidosico, dovuto ad accumulo di prodotti del metabolismo alterato, i chetoni, che causano perdita di coscienza, disidratazione e gravi alterazioni ematiche.
Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare, mentre sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici.
Dieta e diabete
Una dieta appropriata che risponda alle linee guida vigenti in materia rappresenta uno dei cardini nella terapia del diabete mellito. Il ruolo dell'alimentazione nella cura della malattia è così importante che a tal proposito i medici preferiscono parlare non di dieta ma di vera e propria "terapia nutrizionale medica per il diabete" (dietoterapia). Chi soffre di diabete dovrebbe dunque sforzarsi di rispettare scrupolosamente le poche regole che vedremo in questo articolo. Tali raccomandazioni, viste in ottica preventiva, ricalcano esattamente quelle indicate nella popolazione sana per diminuire il rischio di sviluppare il diabete e molte altre patologie come quelle cardiovascolari ed alcune forme tumorali.
Contrariamente a quanto molti credono l'alimentazione ideale del diabetico non è affatto complessa o restrittiva. Per la maggior parte delle persone la dieta va infatti semplicemente adattata alla malattia, di certo non stravolta. Sebbene alcuni alimenti vadano consumati con moderazione esiste comunque un'ampia gamma di alternative salutari tra le quali il diabetico può scegliere.
Gli obiettivi principali della dieta per la terapia del diabete mellito sono:
- il controllo glicemico
- il controllo del peso corporeo
- il controllo della lipidemia
- la prevenzione ed il trattamento dei fattori di rischio o complicanze legate alla nutrizione
La terapia dietetica è molto simile nei due tipi di diabete anche se:
per i diabetici di tipo 1 andrà posta maggiore attenzione all'apporto di alimenti ed in particolar modo di carboidrati.
per i diabetici di tipo 2, spesso in sovrappeso, la dieta andrà calibrata in modo tale da favorire la riduzione del peso corporeo fino a livelli accettabili. Un semplice calo ponderale del 5-10% migliorerà il controllo metabolico favorendo la riduzione della glicemia, della pressione arteriosa ed il miglioramento del quadro lipidico. Naturalmente la dieta dovrà tener conto dei gusti e delle preferenze individuali, integrandosi nelle abitudini dietetiche del diabetico e fornendo una scelta di alimenti accettata e gradita.
Dieta, diabete e carboidrati
La quantità e la qualità dei carboidrati consumati ad ogni pasto rappresenta uno degli aspetti più importanti della dieta.
La quantità totale di carboidrati da consumare nel corso della giornata deve aggirarsi intorno al 50-55% delle calorie quotidiane. Andranno preferiti quelli a basso indice glicemico associati a fibre (in questo caso la quota di carboidrati nella dieta può arrivare al 60% delle calorie totali).
Il saccarosio, il normale zucchero da cucina, non deve assolutamente superare il 5% delle calorie totali (max 15-20 grammi). Tale quantità può essere superata semplicemente consumando dolci e/o alcuni prodotti confezionati (biscotti, snack, bibite, ecc.), il cui utilizzo va quindi limitato. Per lo stesso motivo è bene sostituite lo zucchero con dolcificanti senza valore nutritivo (approvati dalla FDA) assolutamente privi di rischi per il paziente
ALIMENTI DA EVITARE: zucchero, miele, prodotti dolciari raffinati ad alto contenuto glucidico e lipidico (biscotti, snack, merendine, gelati, dolci preconfezionati, cornetti, paste), cioccolato, marmellata; primi piatti elaborati preparati con condimenti grassi (lasagne, tortellini, cannelloni, risotti ecc.); pizze elaborate, sostituti del pane con grassi aggiunti e sale (crackers, grissini, panini all'olio, focacce); frutta secca (pinoli, castagne, mandorle, noci, arachidi, datteri ecc.), avocado, frutta sciroppata, banane, mandarini, uva, melograno, fichi, cachi o loti; evitare i succhi di frutta e le bevande zuccherate in genere
ALIMENTI CONSIGLIATI: primi piatti semplici; pasta e riso meglio integrali abbinati per esempio a pomodoro, tonno e verdure; non esagerare con le dosi di pasta e riso; non consumare mai insieme nello stesso pasto due alimenti amidacei come pane e pasta, oppure pane e riso, pizza e pasta ecc.; utilizzare dolcificanti acalorici e moderare polialcoli e fruttosio; bevande non zuccherate, bevande light; frutta e verdura ad eccezione di quella presente nella lista degli alimenti sconsigliati; le carote, al contrario di quanto molti credono, possono essere consumate tranquillamente.
Banane e Diabete
(Riccardo Borgacci Dietista)
Le banane sono frutti altamente energetici che contengono 12-13g di carboidrati semplici per 100g di parte edibile: questa caratteristica le rende poco adatte al consumo frequente in presenza di diabete mellito.
Gli zuccheri contenuti nelle banane sono per l’83% monosaccaridi o piccoli polimeri ed il contenuto di fibra alimentare è molto basso, circa 1,8g. Ne risulta un indice glicemico abbastanza elevato, circa 50, valore calcolato sulla media di specie e gradi di maturazione differenti. Certo, è plausibile affermare che il consumo della banana sia orientato al frutto maturo. il quale possiede un indice glicemico più vicino a 70.
Il diabete è una malattia cronica - degenerativa a carattere dismetabolico, caratterizzata da iperglicemia cronica e da altre disfunzioni del metabolismo glucidico, lipidico e proteico, che determinano frequenti complicanze. Il diabete mellito si differenzia in:
Tipo 1 (sempre insulino dipendente)
Tipo 2 (di solito, NON insulino-dipendente)
Nella dietoterapia del diabete tipo 1, paradossalmente, la scelta alimentare è meno incisiva sull’equilibrio glicemico; ciò è dovuto alla somministrazione di insulina esogena, la cui dose viene stimata sul pasto da consumare; pertanto, l’utilizzo della banana si divincola da alcune variabili invece molto importanti nel diabete tipo 2. Queste sono:
Carico glicemico
Indice glicemico
Combinazione dei due fattori.
Nel diabete tipo 2, dove l'insulina circolante ha origine endogena (prodotta dall'organismo), ma risulta funzionalmente alterata dalla resistenza periferica, la regolazione della quantità di glucidi semplici e la velocità con la quale entrano in circolo sono di fondamentale importanza nel mantenimento di livelli glicemici fisiologici.
E’ vero che le banane possiedono caratteristiche differenti in base al grado di maturazione, tuttavia, in presenza di diabete mellito tipo 2, la scelta alimentare della frutta deve orientarsi necessariamente su prodotti poco calorici, a modesto contenuto glucidico e caratterizzati da una quota di fibra alimentare buona o quantomeno discreta. Senza imporre il consumo esclusivo di pompelmi e “Granny Smith” (mele verdi), il diabetico può scegliere liberamente tra: prugne, arance, kiwi, mele, pere, meloni, angurie, pesche, albicocche… ecc. Al contrario, sono da ridurre drasticamente: banane, uva, mandarini, kaki, fichi e tutti i frutti altamente energetici e zuccherini. Inoltre, sarebbe buona norma consumare porzioni di frutta inferiori od uguali a 150g e ridurre la frequenza di consumo ad uno o due pezzi al giorno.
Un ultimo appunto sul consumo di banane ed attività fisica nel diabete. E’ dimostrato e tutt’ora applicato che la terapia motoria agisce direttamente ed indirettamente nel controllo glicemico; direttamente perché incrementa la sensibilità dei recettori muscolari alla captazione dell’insulina, indirettamente grazie alla verosimile riduzione ponderale che determina anch’essa un miglioramento del controllo glicemico. Sfruttando la finestra anabolica tipica del post esercizio (proporzionale ad intensità e durata dello sforzo), anche in condizioni di diabete potrebbe essere corretto fare uso della banana. Ovviamente, ci si affida soprattutto al buonsenso dei pazienti, in quanto le porzioni dovranno essere utili al trattamento (100-150g) e la frequenza di consumo non dovrebbe superare le 2 banane settimanali.
FONTI:
Metabolismo dei glucidi, metabolismo degli zuccheri
Dieta e diabete
Banane e diabete
Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica
a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute: Diabete
PER APPROFONDIRE:
Una nanoterapia per il diabete di tipo 1
Verso un nuovo farmaco antiglicemico
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